giovedì 28 aprile 2011

Sydney

Sydney è la prima vera città che incontro in questo viaggio. C’è il mare, che è sempre un gran dono, i palazzi con il numero di piani in doppia cifra, differenti quartieri residenziali in differenti stili, spesso immersi nel verde, Chinatowm, il quartiere Spagnolo, quello Scozzese, quello Italiano, il mercato del pesce.

C’è molta gente e molto movimento, locali, negozi, ma non ho mai avuto l’impressione che sia troppo, non ho quasi mai visto qualcosa come una coda interminabile o sentito la nuvola di smog che ti circonda. Qualche sera fa mi sono lasciato andare al flusso rapido e intenso di gente a Chinatown. Le persone mi scartavano fluide come le onde scivolano su una boa in mezzo al mare. Fantastico.



Ci sono dei bellissimi parchi.

Io sono innamorato del Royal Botanic Garden, che da sul mare, con vista sull’Opera House, con i suoi enormi, strani alberi, le palme, i pipistrelli giganti che appena dopo il tramonto fanno lo show sulla fontana, gli angoli di foresta, di piante grasse o comunque mai viste, gli uccelli strani ed enormi che non conosco.



Nel tramonto è straordinaria. Ci sono delle viste incredibilmente piacevoli, per me sarebbe una ragione sufficiente per viverci.

So che, poco lontano, ci sono molte spiagge che meritano una visita ma non ci sono ancora stato. Qualcuna so che non si può fare il bagno a causa degli squali. L’ostello dove sono non è un granché, ma mi dicono che gli altri non sono meglio. Quasi tutti i ragazzi che ho incontrato hanno lavorato, lavorano o cercano lavoro. Sembra che qui sia facile trovarne uno e anche ben pagato (specialmente in campagna), ma il lavoro è molto duro, gli australiani non ti regalano niente.

Fuori da Sydney la gente vive con un basso profilo. Vecchie auto, abiti sobri, abitazioni certo non lussuose e non riesco a capire se è una questione culturale o economica. Perché vivere in posti come Lightning Ridge, per esempio ?



Leopold, nato in Austria, vissuto in Canada e infine giunto in questa piccola città per assistere la madre morente, ci diceva che è una vita rilassata. Leopold è un pensionato creativo. Sistema da solo la sua antica mercedes che cade a pezzi, si è costruito un pannello solare trovando le istruzioni su internet, si diverte a usare Photoshop. “Se tu lo puoi fare, io lo posso fare.” è la sua filosofia.

Eppure non capisco perché una persona così in gamba vive sola in questo paese rubato all’Outback. L’attività principale è l’estrazione di opali, pietre preziose miraggio di ricchezza. Solo pochissimi fanno fortuna, tutti gli altri tirano a campare, inventano ridicole attrazioni per interessare turisti e aspettano il fresco della sera per scambiarsi sogni nel pub.

C’è troppa polvere, sono a disagio. Il deserto è il luogo della prova, non della vita ma ognuno sceglie per sé. La bellezza dell’outback è che la terra è piatta fino all’orizzonte e il cielo è largo fino a dove arriva l’immaginazione, così che l’alba e il tramonto hanno sempre qualcosa di speciale.

Io e Marco, un ragazzo di Pesaro che ho incontrato in ostello, ce li siamo goduti in autobus, litigando con il sonno, in questa capatina a Lightning Ridge da un giorno intero di viaggio.



Ieri sera abbiamo cenato da Zeke, avvocato australiano che ha vissuto in mezzo mondo, specialmente a New York e in Asia e ora vive solo in una grande casa in Victoria Street, 5 minuti dal nostro ostello. Abbiamo bevuto troppo vino e cucinato troppa pasta, discusso di arte, politica, viaggi, cibo e vita quotidiana. Probabilmente sarà una delle cene migliori di quest’anno.



Invece il pomeriggio ho avuto un momento romantico con me stesso al mercato del pesce. Dopo essermi inebriato di odori, forme e colori mi sono gustato del sushi sul molo. Era l’ora prima del tramonto e spuntava giusto il sole dopo una giornata di pioggia. Al mercato gli inservienti facevano le pulizie della chiusura, dall’altra parte della baia la gente tornava a casa dal lavoro attraversando l’ANZAC bridge, due pellicani rubavano il pesce agli altri uccelli. Nella baia i giochi di luce nell’acqua erano incantevoli, le barche ormeggiate aggiungevano un tocco romantico alla scena. Ascoltavo il mio respiro, gustavo tutto il sapore del pesce in bocca, ero presente a tutto ciò che succedeva intorno a me.



Mi chiedevo “chi sono?” e “cosa sto facendo?”. Credo di aver vissuto per la maggior parte della mia vita la vita di un altro, la vita di quello che pensavo ci si aspettasse da me. Anche adesso, quando sono preda di una folla di pensieri inutili, quando sono in una condizione di bassa energia, quando mi identifico con la mia paura, vivo la vita di un altro.

Solo il fatto di ascoltare il mio respiro mi ricarica di energia, mi riporta presente sulla scena della Vita, mi risveglia dal sogno o, sarebbe meglio dire, dall’incubo.

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